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UnknownPio Tarantini, classe 1950, è un fotografo affermato e di chiara fama.

Egli è un uomo umile e schivo, silenzioso e apparentemente ruvido, come il suo aspro e generoso, Salento.

Qualità comune agli intellettuali del meridione, egli possiede un bagaglio di competenze di notevole spessore e i suoi libri, come l’ultimo: “FOTOGRAFIA ARABA FENICE NOTE SPARSE TRA FOTOGRAFIA, CULTURA E IL MESTIERE DEL VIVERE” (editrice Quinlan – 2014) non sono solo volumi fotografici, ma anche dotti saggi sulla fotografia, che certamente dovrebbero essere letti con attenzione da professionisti e non del ramo.

IMAGO rappresenta certamente il filone di ricerca artistica più prolifico ed espressivo della sua vita di fotografo.

Delle molte immagini ho scelto questa, dato che secondo il mio metro interpretativo è certamente quella che meglio racchiude tutti gli stati d’animo e le significazioni inconsce e consce della sua produzione artistica.

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Imago, nella sua accezione classica significa immaginare, creare con la mente. In psicologia junghiana entra in gioco l’imago quale elaborazione dei primi rapporti interpersonali, vissuti come una sorta d’imprinting.

Io credo che la fusione delle due definizioni sia quella che più ci avvicina all’imago di Pio.

Tuttavia ritengo che un elemento fondamentale, che entra in gioco in questa, come nelle altre della serie, sia il tempo. In particolare l’osservazione di una costante diacronia tra il tempo dell’umano e quello della natura e dei manufatti.

Io credo che la figura umana, con il suo mosso, testimoni la fugacità dell’attimo del ricordo, della brevità della vita umana e dei sentimenti che quella persona ha portato via con sé.

È indistinta, il fruitore non può identificarla e assegnarle una collocazione spazio/temporale e somatica, ma attraverso la sua fantasia, quella figura umana diviene una sua proiezione, un’imago del suo inconscio, un ricordo sbiadito dal tempo.

Lo sfondo, caratterizzato da un colonnato e da ulivi, è immoto, silenzioso, come se per lui l’orologio del tempo si fosse fermato.

Tuttavia le colonne dirute in primo piano ci ricordano che anche per le cose, che sembrano immortali, il tempo fluisce, più lentamente, come in uno spazio tempo parallelo, ma il monotono ticchettio dell’orologio accompagna anch’esse verso l’inesorabile traguardo finale.

Che il tempo sia il protagonista di questa fotografia, Pio lo evidenzia anche grazie alla ritmica del colonnato e degli alberi di ulivo. La ritmica sottintende il ripetersi di un fenomeno nel tempo e ne pone l’accento e il suo trascorrere. Anche qui un riferimento preciso…

In questa fotografia di Pio, individuiamo una diacronia, come ho posto l’accento prima, tra la fugacità della vita umana, la fragilità dell’essere umano e del suo ricordo, che presentano una rapida dissoluzione e la lenta erosione del tempo su i manufatti, su ciò che l’uomo costruisce e che gli sopravvive ampiamente.

Pio, in conclusione, con la sua genialità, ci dimostra come in un unico spazio bidimensionale della stampa fotografica esistano due diversi universi temporali, come essi siano interconnessi e concettualmente rappresentabili, utilizzando con intelligenza il semplice espediente del mosso, la cui funzione in campo fotografico, fu perfettamente percepita dai fratelli Bragaglia.

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