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Iiu Susiraja è fotografa finlandese, non molto conosciuta, tuttavia mi ha molto colpito la sua geniale autoironia nei confronti del proprio corpo e di un rapporto bulimico con il cibo.

Le sue fotografie sono autoritratti che esprimono attraverso dei simbolismi allegorici, le sue ansie e le sue debolezze nei confronti della vita, senza alcuna volontà censoria, ma sempre con grande senso critico verso il suo corpo, che comunque accetta incondizionatamente, e il suo rapporto con il cibo, della cui dipendenza psichica oltre a non farne mistero, ne è pienamente conscia e critica.

Tutto è offerto all’osservatore con aperta autoironia, quasi a voler esorcizzare il suo disagio interiore, ma che nasconde grandi messaggi etici e sociali.

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La fotografia che voglio leggere con voi è invece questa:

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Evitiamo subito ogni critica inutile circa il taglio delle dita dei piedi, cerchiamo di andare oltre e concentriamoci sul messaggio eidetico.

Iiu ci mostra le sue gambe, pingui, quasi deformi. La loro deviazione estetica è sottolineata anche da un angolo di ripresa dal basso verso l’alto.

Alle gambe sono appesi due sacchetti di plastica da freezer, trasparenti, retti in modo grossolano da giri di tipico nastro adesivo americano.

All’interno due scarpe eleganti, adatte a una donna dal corpo decisamente diverso dal suo. Esse richiamano quello statuario di una modella. Sono scarpe che lei non potrebbe mai indossare, certamente, ma che porta ironicamente appese alle sue gambe, in un modo che può apparire anche forzatamente volgare, ma che sottolinea la sua fierezza di essere quello che è, una diversa estetica che si fa gioco di un bello codificato da una società dove tutto è edonismo.

In questa fotografia troviamo uno scontro ironico e amaro tra etica e società, dove il codice estetico comune è messo in crisi, se non ridicolizzato, da quella che Kant definirebbe fascino dell’orrido che diviene il sublime, che si legittima quale elemento rilevante nella società e certamente non meno interessante del bello effimero di un corpo perfetto.

Ecco come una fotografia, apparentemente banale e venata da una sottile rima satirica, si rivela invece densa di significati profondi che ci aprono nuovi orizzonti di lettura e di meditazione sui valori, talora precari, propri della nostra società consumistica.

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