FOTOGRAFIA COME EMOZIONE? NO GRAZIE!
Oggi affronterei un problema che affligge la corretta interpretazione critica delle immagini, vale a dire il rapporto tra visione della fotografia, la sua capacità di provocare emozioni e l’utilizzo di queste quale strumento analitico.
Quante volte ho sentito uscire dalla bocca dei fotografi (sprovveduti):
“Non c’è nulla di più gratificante di trasmettere un messaggio o un’emozione senza parole, ma con una “immagine”.”
Fotografi che non sono solo fotoamatori alle prime armi, ma anche professionisti iscritti all’albo.
Si cerca così di accomodare la lettura di una fotografia, richiudendola nel cerchio di una semplice provocazione emotiva, cioè di un’emozione ancestrale.
In primo luogo occorre tenere presente che l’emozione è un motto primitivo dello spirito, una reazione primordiale, istintuale, priva di ogni appoggio razionale.
Non a caso l’emozione può essere scatenata da qualunque dei nostri sensi primitivi ed è comune agli animali.
Neurofisiologicamente il circuito emotivo appartiene alle zone cerebrali filogeneticamente più antiche come il cingolo, il talamo e l’amigdala (denominate strutture limbiche), che trovano la loro elaborazione superiore nella corteccia prefrontale.
Quindi l’emozione non prevede una sincronia con le strutture superiori proprie del ragionamento critico.
Poi di quale “emozione” parliamo quando ci riferiamo alla valutazione di un’immagine? Piacevole? Spiacevole fino al disgusto? Intendiamo attribuire a una fotografia un significato estetico solo se ci rende emozioni positive? Sarebbe errato, in fondo anche l’orrido ha un suo fascino, una sua valenza estetica.
Quindi attribuire una patente di contenuto estetico a una qualunque fotografia che inneschi un ritorno emozionale è illusorio.
Anche pensare di attribuire all’immagine lo stato psicologico del fruitore, così come leggere in essa una transizione dello stato emotivo dell’autore verso il lettore è fuorviante.
Nel secondo caso non esistono basi empiriche che dimostrino un serio link analitico, mentre nel primo manca completamente il giudizio critico.
Tuttavia la risposta emotiva non è da condannare senza appello, ma essa può innescare meccanismi virtuosi, infatti il suo affacciarsi, osservando una fotografia, la rende utile e valida se accompagna l’osservatore verso una comprensione critica dell’immagine.
Occorre quindi che lo spettatore non riponga la sua valutazione critica soltanto in una sensazione emotiva, ma egli deve avvicinarsi alla fotografia con un occhio diverso, che gli consenta la lettura estetica e semiotica così da aprirgli le porte verso la piena fruizione dell’interpretazione critica anche sotto l’aspetto connotativo, oltre che a quello denotativo (sguardo estetico?), dell’immagine fotografica che sta osservando.