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cache_26560672Girovagando disperato per il MIA di quest’anno, mi sono imbattuto nello stand di Mario Cucchi[1] (KUKKI, per gli amici).

Premetto subito che tra tutti gli autori presenti, solo tre mi hanno colpito per la loro freschezza e genialità e Mario è uno di questi.

Ho trovato Mario all’ingresso del suo stand, solo e un po’ perso, con un’aria molto scoraggiata.

Mario è un tipo schivo, quasi timido ma affabile e dietro questa sua scorza un po’ ruvida, appare subito di grande simpatia e disponibilità. Parlando con lui si ha la netta sensazione di un personaggio dotato di un solido background culturale e di un’intelligenza vivida e brillante. Forse per la sua sommessa umiltà mi è riuscito immediatamente simpatico e approcciarmi a lui è stato come ritrovare un amico perso di vista da anni.

Mi hanno subito colpito le sue fotografie, forse perché finalmente vedevo qualcosa fuori dai soliti schemi banali che si riscontrano in tante immagini che fanno bella mostra di sé anche in gallerie blasonate, forse perché quei toni bianconeri così secchi, ruvidi e violenti si sono imposti immediatamente alla mia attenzione.

Anche il titolo del suo lavoro: ” SIX THOUGHTS OF THE SAME THING” ha acceso la mia curiosità.

Egli illustra questo suo lavoro con queste poche righe semplici ma pregnanti:

“Gruppi di sei foto per tema, oggetti di uso comune fotografati in sei pose diverse.
Un progetto fotografico che esplora l’estetica degli arnesi quotidiani semplicemente con l’intenzione di esprimere sei pensieri sulla stessa cosa.”.

 

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Si tratta di oggetti presi dalla banale quotidianità, che tutti possediamo nelle nostre case e che utilizziamo ogni giorno con disinvolta superficialità. Kukki, con l’uso sapiente dello sfuocato, li trasfigura e ce li porge come oggetti mistici, che assurgono a una dimensione metafisica e surreale. Non sono più forbici, coltelli, grattugie o mestoli ma proiezioni del nostro inconscio che evocano emozioni inquietanti: come asserisce Freud, divengono dei “perturbanti”.

Le loro ombre, allungate all’infinito grazie a una luce tagliente proiettata dal fondo, disegnano grafismi unici e angoscianti, descrivendo un utilizzo sintagmatico del contrasto –come direbbe Floch- conferendo alla fotografia una consistente valenza mitica e plastica.

Queste immagini evocano alla mente i ready-made di Duchamp o i “rayogrammi” di Man Ray propri di quel filone dadaista dei primi del novecento. Ma Mario si discosta da questi grazie alla sua capacità di tradurre il quotidiano banale in un grafismo altamente lirico, evocatore di turbamenti interiori.

Sei punti di vista, ci racconta Kukki, sei concetti dello stesso oggetto. Ognuno di noi fa sei letture differenti, proiettando nelle ombre profonde e nell’apparente confusione dello sfuocato, i sentimenti sprigionati dal proprio inconscio, appropriandosi dell’immagine e introiettandola nel proprio universo onirico. A mio modo di vedere non esiste un unico parametro di lettura, ma ciascuno di noi è stimolato ad accedere a un suo metro interpretativo. In fondo Mario ci lascia liberi di far volare la nostra fantasia, come se ci trovassimo davanti alle macchie di Rorschach.

In questo universo di sensazioni contrastanti, l’autore dimostra una genialità non comune, proiettandosi di gran lunga oltre la banalità di una fotografia da massculture.

Le sue immagini non lasciano certamente indifferenti e non si prestano a una lettura superficiale e frettolosa, bensì impongono al fruitore un’attenta analisi; polarizzano il suo sguardo, intimandogli di posarsi e gustare ogni minimo dettaglio e a trovare in esso un significato preciso, un’emozione o un turbamento.

Ogni centimetro del fotogramma non è certamente lasciato al caso ma esprime il frutto di uno studio accurato e maniacale del dettaglio, della profondità di campo e quindi dello sfuocato, dell’incisività e disposizione delle ombre. Tutti gli oggetti vengono proposti secondo diverse angolature oltre che in posizioni improbabili, come se le leggi dello spazio, gravità e tempo non avessero alcuna influenza. Qui, altrove, in una realtà trascendente dove l’inverosimile diviene possibile e naturale, come in un campo quantistico.

Volendo riassumere la fotografia di Mario Cucchi, posso affermare con certezza che porta dentro di sé molta geniale intuizione e una forza espressiva di indubbio valore tanto estetico, quanto concettuale, creando un mix perfetto di denotazione e connotazione che certamente portano a usare il termine “Arte”, anche se è una “parola grossa…”

Per meglio apprezzare il suo lavoro potete visitare il suo sito qui

 


 

[1] Nato in provincia di Milano il 17/10/1958.

Ha condotto studi tecnici ed artistici e dal 1982 si occupa di pubblicità.

Ha lavorato come art director e direttore creativo

per parecchie agenzie pubblicitarie di Milano.

Attualmente lavora come grafico e fotografo free lance.

 

Premi e mostre:

2009  PREMIO SPECIALE TINA MODOTTI e PREMIO CHATWIN NELLA SEZIONE FOTOGRAFIA.

2010  Mostra collettiva LENS BASED ART SHOW – Torino.

2011  Mostra collettiva “UNITÀ D’ITALIA” – Polifemo, FABBRICA DEL VAPORE MILANO.

2012  Primo premio IMAFestival (International Migration Art Festival) – Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.

2012  IMAFestival BIG CLOSING EVENT – Blackall Studios73 Leonard Street, Shoreditch, Londra.

2013  Primo premio della giuria nella categoria “View” METRO PHOTO CHALLENGE.

2013  Mostra collettiva Museo laboratorio di Arte Contemporanea Università Sapienza – Roma.

2013  Mostra collettiva Casa Internazionale delle Donne – Roma.

2013  Mostra personale Castillo del Rey – San Vicente de la Barquera, Spagna.

2013  Mostra personale Fundación Bruno Alonso – Santander, Spagna.

2014  ART PARMA FAIR.

2014  Mostra collettiva UNPAINTED WORLDS – Artmeet Gallery Milan.

2015  FINALIST LiCC LONDON CREATIVE COMPETITION.

 

 

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