LE “BRAGHE” DI STIEGLITZ
Iniziare a parlarvi di Alfred Stieglitz citando la sua biografia, mi sembra veramente una perdita di tempo, credo che tutti possediate un’ottima conoscenza dell’autore.
Tuttavia alcune notizie è proprio necessario che ve le racconti al fine di inquadrare al meglio la fotografia che andremo a leggere.
Stieglitz nasce a Hoboken, New Jersey, nel1864 e muore a New York nel1946, quindi una lunga vita dedicata alla fotografia.
Egli nasce principalmente come fotografo pittorialista, ma presto comprende che la fotografia non è una parente povera della pittura, bensì un’arte a sé stante.
Illuminato da queste considerazioni egli inizialmente si dedicò alla direzione delle prime riviste di fotografia tra le quali spicca “CAMERA WORK”; inoltre egli fu uno dei fondatori del gruppo “PHOTO-SECESSION”, il cui scopo era proprio quello di promuovere la fotografia come arte.
Seguendo questa sua convinzione egli per primo aprì una galleria d’arte a New York dove, oltre a vendere quadri di pittori famosi come Picasso, Cézanne, Matisse, ebbe la geniale intuizione di promuovere anche il mercato della fotografia, che pose la base della stampa fotografica quale oggetto artistico. Infatti qualunque oggetto, per essere considerato arte ha bisogno di un mercato, altrimenti non è arte, al di là di ogni valutazione estetica.
Muovendosi sulla linea della fotografia come espressione artistica, egli comprese molto bene che le immagini avevano la necessità di andare oltre la pura valenza documentale, a tale scopo egli iniziò a produrre foto di tipo prettamente concettuale, fino ad arrivare a fotografare le nuvole, che nel loro astrattismo pareidolico, per lui avevano questo significato:
“Ho voluto fotografare le nuvole per scoprire ciò che avevo appreso in quarant’anni di fotografia. Attraverso le nuvole volevo riportare sulla carta la mia filosofia della vita: mostrare che le mie fotografie non erano dovute al contenuto o ai soggetti, agli alberi, ai visi, agli interni, né a doni particolari: le nuvole sono lì per tutti… sono libere.”.
Stieglitz definì tali immagini “Equivalents”, poiché le considerava appunto equivalenti ai suoi pensieri, aspirazioni ed emozioni.
Emerge così quella dimensione di “forza” e di “grandezza” dell’immagine in cui ciascuno coglie nella familiarità dell’oggetto ripreso, nuovi significati, ovvero la sua personalità.
Da quanto esposto ne deriviamo la chiave di lettura delle sue fotografie e, nello specifico, di quella di oggi, che mi costringe a riprendere queste parole:
“…le mie fotografie non erano dovute al contenuto o ai soggetti…”
Questa fotografia, dal titolo “Ellen Koeniger” e scattata nel 1916, è certamente una delle fotografie meno note dell’autore, ma considerata la sua attualità grafica, potrebbe tranquillamente essere spacciata per una fotografia ripresa oggi.
Questa immagine la possiamo, senz’ombra di dubbio, inquadrare entro la categoria della fotografia mitica, essendo evidente che certamente per il suo contenuto non rientra nel puro ambito referenziale o sostanziale, né tantomeno obliquo.
La prima osservazione che si affaccia alla mente, è l’esaltazione dell’aspetto figurativo immaginario, che l’autore ci propone con un’immediatezza inusuale per l’epoca, se pensiamo che questa fotografia fu scattata nel lontano 1916.
Eideticamente il corpo di Ellen perde la sua fisicità e si trasforma in materia inorganica, puramente astratta, esibendoci linee e contrasti in grado di stimolare e liberare la nostra fantasia.
Il tessuto così aderente al corpo pervaso da un’interminabile contrattura dei muscoli glutei e delle gambe, ne disvela ed estremizza le linee, gli conferisce una sensazione di oggetto tridimensionale come se si trattasse di una scultura, mentre le pieghe si rincorrono lungo a esso in un gioco d’increspature, incroci e rotture, proponendoci un continuo di forme astratte, che s’intersecano con la verticalità di una fisicità atletica, asciutta e longilinea della modella, esaltandone provocatoriamente le geometrie umane.
Queste caratteristiche sottolineando la verticalità dell’immagine ci conferiscono l’illusione di una realtà, anche solo virtuale, che si propaga di là dai confini topologici del rettangolo aureo specifico dell’inquadratura.
Anche la texture del tessuto, appena accennata, ma aspra, ci restituisce l’illusione di toccare una superficie dura e ruvida, come quella di una scultura grezza, creando un contrasto, che definirei sintagmatico, con la grazia propria del corpo della modella, esprimendo in tal guisa la transustanziazione da essere umano a oggetto astratto.
L’iconopoiesi, dal suo punto di osservazione emozionale, ci suggerisce un glamour più che attuale, che si gioca sull’ambiguità del vedere non vedere, dell’allusione e del sottile erotismo. Aspetti questi che a quei tempi, erano sicuramente espressione di un modo di fotografare molto all’avanguardia, non certo spregiudicato, ma indiscutibilmente con un occhio “aperto” verso un’espressione artistica della fotografia, incarnandola come esternazione di “arte pura”.
Riprendendo l’espressione di Stieglitz, quindi, la sua fotografia non dipende dal soggetto, ma è essa stessa espressione concettuale.
Il soggetto inquadrato è in fondo solo un mezzo che egli usa per comunicarci emozioni e intime visioni, così come nella pittura egli ricrea un’estetica albertiana, trasferendoci l’illusione di una realtà che travalica i confini topologici e che estrinseca la pura emanazione dalla mente dell’artista.
In questa fotografia troviamo già anticipati, in modo probabilmente inconscio, gli aspetti speculativi della sua produzione più tardiva delle “nuvole”.
Certo qui manca la mistica, ma traspare chiaramente la sua capacità di andare oltre il puro aspetto documentale e pittorialistico, egli è già proteso verso una ricerca avanzata di soluzioni meta-iconiche in grado di esprimere concetti intimi e complessi propri della “vera arte”.
In sostanza la fotografia in Stietglitz è elevata a veicolo puramente artistico di un distillato di emozioni allo stato puro, del sublime e, quindi, diviene espressione della perfetta fusione di essa, come strumento tecnico, con tutte le altre arti figurative.